(DIS)UMANIZZAZIONE
IL CANNIBALISMO SOCIALE
CANNIBALISMO
UN'ANALISI DELLE DINAMICHE DI ESCLUSIONE
Il cannibalismo sociale è una metafora potente che descrive le dinamiche con cui le società assimilano, marginalizzano o distruggono coloro che percepiscono come diversi o minacciosi per il proprio equilibrio. Questo concetto attraversa la storia, adattandosi ai contesti e alle epoche, ma mantenendo una costante: la subordinazione o l’eliminazione di chi non si conforma ai valori o alle norme dominanti.
Nelle società antiche, il cannibalismo sociale era evidente nelle gerarchie costruite attorno a classe, razza e genere. Gli imperi, come quelli greco e romano, fondavano la loro stabilità economica e politica su sistemi di schiavitù che riducevano interi gruppi a strumenti utilitaristici. Analogamente, il sistema delle caste in India perpetuava una stratificazione sociale rigida, giustificando l’esclusione di milioni di individui attraverso un ordine considerato naturale e immutabile. Durante il colonialismo europeo, il cannibalismo sociale assunse la forma dello sfruttamento delle popolazioni indigene, disumanizzate e assimilate forzatamente per alimentare le economie dei colonizzatori. Gli storici Edward Said e Aimé Césaire hanno evidenziato come queste narrative di superiorità culturale e razziale abbiano legittimato pratiche che hanno generato disuguaglianze profonde e durature.
Nel XX secolo, i regimi totalitari hanno portato il cannibalismo sociale a un’estremizzazione violenta. Il nazismo, con il suo sistema di sterminio, e i gulag sovietici, con la repressione di ogni dissenso, rappresentano esempi drammatici di come il “consumo” simbolico e fisico dell’altro sia stato utilizzato per consolidare il potere. Questi episodi mostrano come le società abbiano ripetutamente costruito il proprio equilibrio sacrificando chi era considerato diverso, pericoloso o inutile.
Nel presente, il cannibalismo sociale persiste in forme meno visibili ma altrettanto pervasive. Le disuguaglianze economiche globali creano nuove classi di esclusi, relegati ai margini di un sistema che li sfrutta senza offrire loro i benefici della partecipazione. Zygmunt Bauman, nella sua analisi delle società liquide, parla di “scarti umani” per descrivere coloro che il capitalismo contemporaneo considera inutili e sacrificabili. La precarizzazione del lavoro, la criminalizzazione della povertà e l’esclusione culturale sono manifestazioni moderne di un fenomeno antico.
Nel mondo digitale, il cannibalismo sociale assume una forma ancora più sofisticata. Le grandi aziende tecnologiche sfruttano i dati personali degli utenti senza garantire trasparenza o diritti, trasformando gli individui in risorse consumabili. Parallelamente, le politiche migratorie globali alimentano narrazioni di odio e paura, disumanizzando i migranti e costruendo nuove periferie culturali. Anche l’accesso alla sanità e all’istruzione, che dovrebbe essere un diritto universale, è spesso negato, soprattutto nelle regioni più svantaggiate, amplificando le disuguaglianze e perpetuando l’esclusione.
Il cannibalismo sociale, in tutte le sue forme, dimostra come le società abbiano costruito meccanismi di inclusione ed esclusione che, pur adattandosi ai tempi, mantengono un nucleo profondamente disumanizzante.
Il progetto (dis)UMANIZZAZIONE e il Cannibalismo Sociale
Con il progetto (dis)UMANIZZAZIONE, la Fondazione FGS esplora il cannibalismo sociale come tema centrale per analizzare le dinamiche contemporanee di esclusione e sfruttamento. Dopo aver affrontato il tema della gentilezza come possibile tratto normativo della società primate, il progetto si concentra ora su come le comunità inglobano o respingono il diverso per mantenere l’integrità del proprio sistema.
La mostra fotografica “Una Frattura nell’Umanità ” di Gabriele Vanetti rappresenta uno degli esempi più significativi. Attraverso immagini scattate nella zona di esclusione di Chernobyl, l’artista racconta la vita di individui dimenticati, costretti a vivere in un mondo che li ha abbandonati. Le fotografie, crude e poetiche al tempo stesso, mostrano la resistenza di chi vive ai margini, evidenziando il prezzo umano delle dinamiche di esclusione.
Il progetto non si limita alla denuncia, ma intende stimolare un dialogo critico che coinvolga artisti, studiosi e cittadini. Partendo da documenti storici come La Nave dei Folli di Sebastian Brant, che esplora le follie umane e le disuguaglianze sociali, (dis)UMANIZZAZIONE collega passato e presente, offrendo una riflessione interdisciplinare sulle tensioni tra individuo e collettività .
Attraverso l’arte, la ricerca e il confronto pubblico, il cannibalismo sociale diventa uno strumento per interrogare le contraddizioni delle società contemporanee e immaginare nuove modalità di convivenza più giuste e consapevoli.